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"Questo lavoro nasce dall'esigenza di sperimentare forme musicali e aggregazioni di musicisti nuove in presenza di un'attività genericamente definita musica giovanile, che sta attraversando una crisi, a livello di contenuti e tecniche esecutive, senza precedenti. Le musiche sono scritte in direzione di una fusione di matrici musicali differenti e nell'ottica di affermare tra il pubblico una musica che affonda le proprie radici in una dimensione nettamente nazionale e al tempo stesso di continua ricerca".

Così recitava, quasi diciotto anni fa, parte della presentazione di CARNASCIALIA, il progetto sonoro di due componenti dell'allora appena disciolto Canzoniere del Lazio, Pasquale Minieri e Giorgio Vivaldi.

In questo mese di importanti uscite discografiche voglio iniziare proprio con questo disco, da poco ristampato in CD, importante più che per il suo contenuto prettamente musicale, proprio per le intenzioni con cui era nato. Il tutto finirà da lì a poco, ma se solo qualcuno avesse raccolto il messaggio lanciato dai Carnascialia, forse la musica italiana avrebbe preso un'altra direzione; non a caso solo quando si è andati a ricercare le radici della musica popolare, usandole come base per innestarci i "nuovi suoni", smettendo di scimmiottare i gruppi stranieri, la nostra musica ha ritrovato una sua dignità.

Al progetto Carnascialia parteciparono alcuni tra le migliori menti musicali dell'epoca, oltre ai due fautori suddetti, possiamo riascoltare Danilo Rea, Maurizio Giammarco, Mauro Pagani e soprattutto la voce tuttofare e tuttopotere di Demetrio Stratos. Le canzoni spaziano dalla musica popolare al jazz, dalla sperimentazione ad una world music ante litteram; non tutto funziona sempre alla perfezione, ma comunque vale la pena di riscoprire e apprezzare questo piccolo gioiello della nostra musica.

E adesso iniziamo con la parata di stelle che sono uscite allo scoperto questo mese.

Siamo tornati indietro di circa trenta anni, ricordate ? Sono meglio i Beatles o i Rolling Stones? Ebbene questo mese la domanda si pone di nuovo, anche se il confronto è ad armi impari, visto che i Beatles non esistono ormai più da troppi anni, anche se l'industria discografica ci vuole convincere del contrario.

Vorrei liquidare la questione BEATLES con poche parole, visto che se fosse per me i morti li lascerei riposare in pace, invece di resuscitarli tramite computer; se proprio vi piacciono i Beatles (e come potrebbe essere altrimenti) i vostri soldi buttateli nell'acquisto di tutti i loro dischi ufficiali prima dello scioglimento, se già non lo avete fatto: avrete materiale a sufficienza per scrivere un trattato sulla musica, e lasciate perdere tutto quello che è uscito in tempi più recenti.

E i ROLLING STONES ? Ennesimo disco dal vivo, soliti pezzi ultrarisentiti, a parte le solite chicche per collezionisti; ci sarebbero tutte le premesse per passare oltre anche qui, se non fosse che... che il disco è una delle migliori uscite dell'anno, che una volta iniziato ad ascoltarlo non riesci a staccare le orecchie da questi suoni mille volte sentiti e che eppure riescono ancora ad emozionarti. Il trucco sta forse nel fatto che quando questi nonnetti si scordano del conto in banca da rimpinguare e ritrovano la voglia ed il divertimento di suonare nessuno può competere con loro, e forse i piccoli locali in cui è stato registrato il disco hanno stimolato il buon Mick Jagger e la chitarra maledetta ed unica di Keith Richards ed allora signori... it's only rock'n'roll but I like.

Bruce Springsteen; qui il discorso per me diventa un pò più complicato. Vi devo confessare che è da molto che non sono più un adoratore di Springsteen: se i primi dischi si potevano infatti considerare epocali, da dopo "Nebraska" e senza la E Street Band il nostro mi sembrava sempre più sprofondare in dischi non proprio considerevoli di cieca adorazione; visto però che tantissimi fans continuano a salutare ogni sua nuova uscita come la "buona novella" può darsi che sia io dalla parte del torto, ma... de gustibus. Comunque il fatto che questo nuovo "The ghost of Tom Joad" sia una sorta di ritorno a "Nebraska" e che il nostro si sia rifatto vedere in giro con i fidi della E Street mi sembra di buon auspicio, soprattutto per il futuro.

Altre due uscite che mi sembra di poter accomunare sono i nuovi prodotti di DAVID BOWIE e degli U2 sotto le mentite spoglie di PASSENGERS. Accomunare perchè mi sembra che su tutti e due si senta la mano "pesante" di Brian Eno, agitatore di suoni e di tendenze, sempre qualche anno avanti rispetto a tutti; probabilmente per apprezzare appieno questi due dischi dovremo attendere un bel pò di tempo, ma, statene certi, questa è la musica di domani. Anche adesso mi sembra comunque che non suonino niente male, anche se ad un ascolto superficiale potrebbero apparire un pò ostici; il "Duca bianco" nel nuovo "1. Outside" ha finalmente ritrovato un pò di inventiva, ed anche U2 e compagnia bella nel loro "Original Soundtracks 1" se la cavano egregiamente, nei pezzi cantati, poi, Bono lascia il segno. Un unico appunto: il "cammeo" di Pavarotti mi sembra la cosa più fuori luogo di tutto il disco.

Passiamo ad un'altra accoppiata niente male; passata la sbornia grunge sono rimasti fortunatamente a galla solo i gruppi con le basi un pò più solide e che, al di là della moda del momento, hanno delle idee da sviluppare. E' il caso degli ALICE IN CHAINS, che si sono migliorati di disco in disco; immergendoci nelle note di questo loro terzo lavoro, sembra di entrare in un "party acido", si viene attratti, catturati e sballottati da un suono potente ma disperato e lancinante, si rimane abbattuti, storditi ed incapaci di reagire, e quando le note de "Il silenzio", che introducono l'ultimo pezzo, ci riportano alla realtà, usciamo da un tunnel cupo ma variopinto, con le ossa a pezzi ma pienamente appagati. Sembra che il futuro degli Alice in Chains sia piuttosto incerto, peccato, perchè sono ad un passo dalla piena maturità. Chi la piena maturità l'ha raggiunta sono gli SMASHING PUMPKINS; il doppio "Mellon Collie and the infinite sadness" è uno di quei dischi in cui dici "Ecco, qui questi volevano arivare" e si candida come uno dei migliori dischi di questo avaro 1995; si rischia magari di perdersi nella prolissità dei 28 pezzi che lo compongono, ma se non siete ingordi pretendendo di divorarlo in un sol boccone, e riuscite ad assaporarlo a piccole dosi, vi svelerà tutti i segreti e le meraviglie che lo rendono grande. Penso che difficilmente queste "zucche" possano maturare ulteriormente, forse solo se riusciranno a sintetizzare maggiormente le tante idee sparse in questo CD, potranno fare di meglio.

Dopo la sorpresa del semi live dedicato a New Orleans, ecco il nuovo WILLIE DE VILLE . In "Loup garou" Willie cerca in alcune tracce di esplorare nuove atmosfere, ma in definitiva mi sembra che le cose migliori si ritrovino ancora nei momenti in cui si ricorda delle sue origini gitane e, prendendoci il cuore in mano, ci inchioda con quelle ballate assassine come solo lui sa fare; peccato che della loro potenzialità si siano accorti ancora in pochi, nonostante di dischi alle spalle ne abbia ormai una decina.

Per chiudere vorrei consigliarvi, se ancora non lo avete fatto, di dare un'ascoltatina al nuovo PAOLO CONTE. E' vero che gli stupendi quadretti dei primi tempi hanno ormai lasciato il posto a cose molto più mature e compiute, è vero che l'avvocato ha ormai addirittura anche imparato a cantare, ma nonostante tutto il personaggio rimane ancora unico nel panorama italiano e non solo, vista la considerazione di cui gode all'estero, ed oltretutto questo "Una faccia in prestito" è forse il miglior prodotto tra gli ultimi usciti dalla penna dell'avvocato astigiano.

Buon ascolto a tutti.

I ZIMBRA