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Negli Stati Uniti, che come sappiamo, in campo musicale fa da apripista a mode e tendenze varie, negli ultimi tempi fanno furore la riscoperta di tutta una serie di gruppi, autori e musiche risalenti agli anni a cavallo tra i '50 e i '60, raggruppabili in due grandi filoni.

Il primo gruppo fa capo a "Pulp fiction"; infatti l'uscita del film di Tarantino, con la colonna sonora zeppa di gruppi misconosciuti, dal suono perlopiù strumentale derivante dal surf/rock, con chitarroni roboanti, ha scatenato la caccia alla riscoperta di tanti gruppi "trash" che all'epoca erano passati quasi inosservati, e che oggi vengono invece omaggiati con ristampe ed antologie.

Chi volesse approfondire il genere può benissimo partire con la colonna sonora di "Pulp fiction", sappiate però che poi sarà impossibile non continuare nella riscoperta e passare così ai "re" del genere: Link Wray con la raccolta "Rumble! The best" contenente anche i suoi due hits "Rumble" e "Rawhide" (vi ricordate la versione dei fratellini Jake e Elwood nel film "Blues Brothers"?) e del pazzo Dick Dale con "King of the surf guitar: the best", contenente anche l'hit di Pulp Fiction: "Miserlou".

Per me comunque il più grande è Al Casey; ascoltatevi la raccolta "Jivin' around" contenente tutti i pezzi registrati per la piccola etichetta Stacy all'inizio degli anni '60, dove impazza con la sua chitarra.

Altrettanto pazzeschi e altamente godibili sono The Centurions ("Bullwinkle part II"), The Revels ("Intoxica: the best"), The Trashmen ("Tube city!: the best"), The Ventures ("Walk-don't run"), The Tornadoes ("Bustin' surfboard").

Il secondo gruppo fa invece capo al filone "exotica" e "space age bachelor pad music". Per comprendere meglio queste strane sigle e la musica che vi si cela dietro bisogna ritornare al periodo appunto a cavallo tra i '50 ed i '60, in cui la sempre maggiore industrializzazione delle città americane spingeva la gente, soprattutto i tanti di origine latinoamericana, a desiderare scenari esotici. In quegli anni facevano poi la loro apparizione anche i primi impianti ad alta fedeltà; ecco che allora la sera i genitori, primi fortunati possessori di questi avveniristici apparecchi, si sedevano in poltrona e mettevano sul giradischi i dischi, con nella copertina ben impressa la scritta "stereo", di quelle piccole orchestre dal suono un po' insulso ma rassicurante, con curiosi arrangiamenti esotici, mentre dai canali dell'impianto stereofonico impazzavano percussioni, vibrafoni, strani strumenti elettronici come il theremin (in cui il tremolo veniva ricreato elettronicamente), voci femminili sospiranti. Peccato che questo suono fosse spesso disturbato dal rumore proveniente dalla camera dei figli, i quali si rincretinivano con altri ritmi ben più assordanti e poco ortodossi che uscivano dalle radioline a cui stavano sempre attaccati, muovendosi al tempo dei primi successi rock'n'roll.

Si sa però che poi i figli crescono e diventano a loro volta padri, ed ecco allora che, magari di nascosto ai genitori sì un po' rincoglioniti, ma non tanto da non riconoscere quei suoni che li facevano immaginare su spiagge esotiche assolate, abbassano il volume del loro megaimpianto hi-fi e mettono nel lettore CD le ristampe dei vari Esquivel, Les Baxter e Martin Denny, che del genere sono gli alfieri, ed anche loro, lasciandosi trasportare dalle note e dal ritmo, si possono immaginare in chissà quali paesaggi.

Chi volesse provare un approccio con questa musica può cominciare dai tre CD appena pubblicati dalla RCA: "Space age pop music: vol.1-2-3", che danno un quadro abbastanza esauriente sui vari interpreti; anche qui sarà però difficile resistere ad un ulteriore approfondimento. Ecco allora pronte le antologie del grande Esquivel (a piacere "Cabaret manana" o "Space age bachelor pad music") in cui il capostipite di questa musica rivede pezzi più o meno noti alla sua maniera; di Les Baxter ("The exotic sounds of"), autore anche di numerossime sigle di telefilms (si ascolti a questo proposito il mini "The lost episode"); ancora si possono confrontare molte versioni di Les Baxter con quelle di Martin Denny ("The exotic sounds of") oppure ripiegare su Arthur Lyman ("Taboo: the exotic sounds of").

Allargando un po' il raggio di azione sono poi consigliabilissimi i tre CD antologici di John Barry ("The EMI years: 1957-1964") in cui si può veramente ascoltare di tutto: dal "James Bond theme" ai "Magnifici sette" e così via per un totale di oltre 100 pezzi.

Se poi prendete gusto alla cosa non potete non comprare il completissimo cofanetto dedicato a Henry Mancini (ricordate la Pantera Rosa?) dal titolo "The days of wine and roses", in cui in 3 CD è raccolto il meglio di questo grande compositore e direttore d'orchestra; dalle colonne sonore della "Pantera Rosa", appunto, a "Colazione da Tiffany", a "Peter Gunn", oltre alla rivisitazione di tanti altri celebri temi.

Altre antologie interessanti sono quelle della serie "Jungle exotica", in cui sembra di stare in una vera giungla ricreata dai suoni o della serie "Las Vegas grind" in cui si và più sul lascivo, trattandosi di vecchie musiche da night club anni '50; infine la curiosissima serie "Golden throats", in cui attori famosissimi si cimentano nelle covers più disparate di grandi successi: trash al 100%.

Restando in tema di celebrità chi se la cava egregiamente è invece Robert Mitchum, che a suo tempo aveva inciso addirittura due albums pieni zeppi di ritmi caraibici, prontamente ricompattati nell'antologia "That man", in cui si riscopre novello Belafonte.

Bene, non resta che aspettare la prossima moda. Intanto, a risentirci il prossimo mese.

I ZIMBRA