Ci sono artisti che, seppur non baciati dal successo o gratificati dal grande pubblico, riescono a costruirsi egualmente una dignitosissima carriera, ad incidere regolarmente i loro dischi e magari ad essere citati quali ispiratori da tanti altri artisti più fortunati e famosi di loro.
E’ il caso di Bruce Cockburn e di Richard Thompson, entrambi sul mercato con due nuovi prodotti di gran livello; snobbati, come al solito, dal grande pubblico.
Cockburn, cantautore canadese ebbe il suo momento di notorietà negli anni ’70, quando il suo stile pacato ed il suo tocco di chitarra cristallino seppero incontrare i gusti del momento; dischi come "In the falling dark" e "Circles in the stream" sono lì a testimoniare con splendidi pezzi il valore di questo schivo canadese. Poi il punk e altre mode spazzarono via tutto e Cockburn rientrò nell’anonimato, continuando per la sua strada a sfornare dischi regolarmente ignorati da quasi tutti: Dischi, badate bene, sempre più che dignitosi come questo "Breakfast in New Orleans…dinner in Timbuktu" appena uscito per la Rykodisk, forse il suo migliore da diversi anni a questa parte.
L’atmosfera è sempre intimista e per lo più i pezzi sono acustici, ci sono anche alcuni splendidi strumentali (ascoltate "Deep Lake"). Alle voci appaiono anche Lucinda Williams e Margo Timmins (Cowboys Junkies), ma è ancora la chitarra di Cockburn che si eleva al di sopra di tutto; il suono appare un po’ più variegato ed aperto a soluzioni attuali (ascoltate il rifacimento del classico "Blueberry Hill"). Da ascoltare assolutamente.
Come assolutamente da sentire è "Mock Tudor", nuova uscita di Richard Thompson. Per coloro a cui il nome di Thompson non dice nulla ricorderò che esso era l’anima dei Fairport Convention, gruppo principe del folk inglese. Una volta intrapresa la carriera solistica ha continuato a sfornare gran bei dischi sia da solo sia accompagnato dalla moglie Linda, valgono per tutti "I want to see the bright light" del ’74 o "Shoot out the lights" dell’82. Questa sua nuova uscita si colloca anch’essa ai vertici della sua produzione, con le solite atmosfere non solo folk, ma con incursioni anche nel rock vero e proprio. Thompson, oltre a saper scrivere grandi pezzi, sa maneggiare la chitarra con gran maestria, usando il fioretto (ascoltate "Sights and sounds of London town" o la conclusiva "Hope you like the new me") ma anche la sciabola quando serve (come in "Hard on me"). Gran bel disco musicalmente vario e con testi mai banali, dedicati ai vari aspetti della vita nei sobborghi londinesi.
Per chi predilige suoni un po’ più attuali, se non proprio di moda, potrei invece consigliare il nuovo dei Nine Inch Nails: "The fragile". Disco doppio, vi avviso, abbastanza ostico se ascoltato distrattamente, ma che ad un esame più attento si rivela un viaggio quanto mai reale nei meandri della vita e della musica di oggi, con un rock infarcito di suoni techno, industriali, per arrivare sino al runore vero e proprio. Viaggio scomodo ed anche irritante, in alcuni momenti, ma come detto alquanto veritiero.
Se proprio non riuscite a digerire la realtà potreste ascoltare "Surrender", il nuovo dei Chemical Brothers, anch’esso attualissimo nei suoni ma mischiato con una patina psichedelica che deforma un po’ la realtà rendendola più accettabile. C’è più musica che nei dischi precedenti dei due dj’s inglesi e proprio questo cammino verso la psichedelia mi sembra la cosa più interessante di questo album, in cui i ritmi per il corpo si sposano perfettamente con quelli per la mente in un mix azzeccatissimo, rendendo irresistibili pezzi come "Let forever be", "Let sunshine underground" o la conclusiva "Dream on" .
Infine, coloro che continuano a preferire il buon vecchio "classico rock", non si lascino sfuggire "This desert life", nuovo disco dei Counting Crows. Dopo un esordio con il botto, "August and everything affair", sembravano essersi persi con il seguente "Recovering the satellites" e l’inutile live "Across wire: live in New York". Stavolta invece hanno riaddrizzato il tiro ed hanno sfornato un signor disco che, seppure paghi spesso debito a REM e Van Morrison, si lascia ascoltare tutto d’un fiato, con una serie di bei pezzi, ora pacati e cantautorali, ora più tirati e con le chitarre in gran spolvero. Su tutto svetta la lunga ballata "Mrs Porter lullabye", una delle cose migliori ascoltate ultimamente.
Buon ascolto.