BILANCI DI FINE MILLENNIO
Si può anche fare finta di niente, come se nulla stesse per succedere, ed in verità infatti nulla cambierà. In fondo stiamo solo per cambiare secolo, stiamo per cambiare millennio… ma tutto rimarrà uguale.
Però il fatto di essere nel "duemila" un po’ di soggezione e di pensiero ce lo mette ed è inevitabile voltarsi indietro e fare un bilancio almeno del vecchio secolo.
Lasciando da parte i fatti personali e dovendo, chi vi scrive, parlarvi di musica allineiamoci anche noi a tutti i media che si stanno sforzando di stilare classifiche delle cose più belle uscite nel "vecchio ‘900".
Compito alquanto arduo, oltrechè stupido, a dire il vero perché quello che è considerato bello oggi può apparire poi brutto domani o viceversa, e poi il bello in campo musicale è quanto mai soggettivo. Spesso la memoria storica di certi pezzi diviene quasi più importante del loro valore artistico o perlomeno tende ad integrarsi con esso; insomma: ognuno ha dei termini di paragone ed un metro di valutazione, oltrechè gusto, alquanto diverso da ogni altro.
Bene, detto questo, tenterò di buttare giù una lista dei famosi "dischi da isola deserta"; non chiedetemi però una numerazione progressiva precisa, ma lasciatemi almeno la libertà di una divisione a gruppi.
Inevitabilmente nel gruppo dei preferiti non possono mancare quei dischi con cui sono cresciuto (musicalmente parlando) e che hanno contribuito più di tutti a plasmare il mio gusto. Ecco allora direttamente dai fine anni ’70 (ricordate il punk e dintorni ?) l’esordio dei Clash con l’album omonimo e ancor di più il capolavoro "London Calling" che darà dignità musicale a tutta l’era punk; ecco "Marquee Moon" dei Television, con il suono acido della chitarra di Tom Verlaine, poeta sotterraneo della New York più oscura, uscita dalle cantine del CGB’S, così come la poetessa per antonomasia di tutto il movimento: Patti Smith, che con "Horses" tocca forse il punto più alto della sua carriera.
Dopo i figli illuminante ed inevitabile andare a ricercare i padri. Ecco allora i morbosi Velvet Underground di Lou Reed e Nico che con l’esordio "Velvet Underground & Nico" fanno diventare il rock adulto, con testi oscuri e minacciosi che portano alla ribalta il "wild side" della vita. Ed ecco il suono sporco e violento degli Stooges di Iggy Pop con "Fun House".
Ma il rock (avrete ormai capito che in questo campo sono le mie preferenze) non è solo energia, ma riesce (o forse sarebbe meglio dire riusciva?) ad essere anche poesia; allora impossibile non prendere almeno un disco di Bob Dylan (può andare "Blood on the tracks"?) ed uno di Leonard Cohen (opterei per "I’m your man").
Per chiudere il primo gruppo di preferiti non mancano che "Remain in Light" dei Talking Heads, disco crossover fondamentale per tutto lo sviluppo della musica degli anni ’80 ed almeno un disco di Jimi Hendrix (diciamo "Are you experienced"), faro e guida inarrivabile per tutti i chitarristi falliti come il sottoscritto.
Ed essendo grande amante del suono della chitarra non possono non piacermi Ry Cooder, grande riscopritore di tutta la tradizione americana ("Chicken skin music") ed il più leggero ma maledettamente intrigante suono di Mark Knopfler e dei suoi Dire Straits che nell’omonimo esordio costruiscono un disco quasi perfetto.
Metterei poi in questo secondo gruppo i classici Bruce Springsteen ("Darkness on the edge of town"), Doors ("Doors") e U2 ("The unforgettable fire") su cui mi sembra ci sia poco da dire se non che si tratta di dischi che non si possono non amare. Poi aggiungerei il cupo e disperato suono di "Unknown pleasures" dei Joy Division, le sciabolate di synth dell’omonimo esordio dei Suicide, lo sguiato ed irresistibile "Rum, sodomy & the slash" dei Pogues, per chiudere con la psichedelia dei 13th Floor Elevators e del loro "The psychedelic sound of ".
Nel terzo gruppo altri dischi di Talking Heads ("Fear of music"), U2 ("The Joshua tree") e Ry Cooder ("Paradise and lunch") ed altri classici quali "Who’s next" degli Who, "Wish you were here" dei Pink Floyd, "Document" dei REM e "Nevermind" dei Nirvana.
Inoltre i minacciosi "Bone machine" di Tom Waits , "Candy apple grey" degli Husker Du, "Kick out of jams" dei MC5 e "Fire of love" dei Gun Club.
Il baule comincia ad essere pieno, ma ci sono tanti altri dischi che non potrei mai lasciare per sempre. Dischi noti come "Moondance" di Van Morrison, "Sticky fingers" dei Rolling Stones o "Running on empty" di Jackson Browne o meno noti come "The days of wine and roses" dei Dream Syndicate, manifesto del Pasley Underground, o, ancora dalle ceneri del punk, "Under the big black sun" degli X o "I’m the man" di Joe Jackson.
E poi almeno un King Crimson ("Beat"), un Bob Marley ("Babylon by bus"), un Paul Simon ("Graceland"), un Nick Cave ("Kicking against the pricks"), un Los Lobos ("How will the wolf survive?"). E potrei forse non poter più sentire la voce di Otis Redding ("In person at whisky a go go"), la chitarra di Bruce Cockburn ("In the falling dark"), gli sballi dei Little Feat ("Waiting for columbus"), l’energia di tanti oscuri gruppi anni ’60 quali i Music Machine ("Turn on") ?
E gli italiani ? Nemmeno uno ? Almeno un Fossati ("Dal vivo: vol.1 –2"), un De Andrè, si ma quale, e poi…
E poi basta, troppo difficile. Sapete che vi dico ? Io o mi posso portare dietro tutta la mia discoteca o non mi muovo da qui, caschi il mondo.
E poi mi rifiuto di fare queste classifiche sceme. Se proprio volete fatevela da voi, potete dire e scrivere tutto quello che volete nel mio sito (www.sinsing.org/izimbra). Ma solo fino alla fine dell’anno; poi… siamo già nel 2000.
Buon fine millennio.