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Anche se l'estate volge purtroppo ormai al termine, per ora la calura continua ad attanagliarci, i nostri ritmi quotidiani sono dilatati, un pò per il caldo, un pò per l'aria di vacanze che ancora aleggia; anche l'industria discografica è in ferie. Vorrei allora dedicare questa nostra chiaccherata a tutti quei dischi o personaggi che hanno superato l'affrettato ascolto iniziale, che sono riusciti ad ergersi al di sopra della massa delle novità eclatanti che quotidianamente ci vengono propinate, e che nella stragrande maggioranza finiscono quasi subito nel dimenticatoio. Non è detto che siano i dischi più belli, semplicemente sono quelli a cui sono più affezzionato, quelli che regolarmente vengono ogni tanto ripescati dal mucchio.
Iniziamo da quello che è il mio disco forse più ascoltato degli ultimi due anni e che ancora, ascolto dopo ascolto, continua a farmi venire i brividi. Il brivido è infatti il mio inappellabile giudice che mi indica se un disco è giunto al mio cuore e lì resterà a lungo; si sa che con la musica si può avere un approccio più o meno fisico, più o meno profondo, ognuno ha i suoi gusti e i suoi metri di giudizio.
Anche io amo tante cose e tanti generi, una cosa può piacermi per il ritmo, un'altra per le atmosfere, per una voce, per un passaggio strumentale, per le armonie di uno strumento; c'è però un comun denominatore che riunisce tutte queste sensazioni: ed è il brivido lungo la schiena durante l'ascolto. Allora e solo allora significa che chi suona o canta è riuscito ad entrarmi dentro e lì resterà per sempre.
Basta con queste dissertazioni, che poi magari a voi nemmeno intersessano; ritorniamo al punto di partenza: vi dicevo del mio disco più gettonato degli ultimi due anni, si tratta infatti di quel "Dal vivo vol.1 - Buontempo" di IVANO FOSSATI che risale al 1993. Ho sempre amato e seguito Fossati, dai tempi di Jesahel prima, della sua banda che suonava il rock poi, passando per piantagioni di tè fino alla trasvolata di Lindenbergh. L'ho sempre seguito in quel suo cercare di distaccarsi dai suoni convenzionali del gruppo più o meno rock prima e del cantautore poi, nell'incessante ricerca di un approccio personale alla forma canzone, con risultati sempre più interessanti disco dopo disco e, secondo me, con il raggiungimento della perfezione nel suddetto disco dal vivo, in cui suoni e voce si sono prosciugati di tutti gli orpelli, riuscendo a creare un amalgama perfetto; ed ecco allora che ascolto dopo ascolto si viene sommersi dalle mille sensazioni che queste splendide canzoni sanno darci.
Altrettanto consigliato è naturalmente anche il "Vol.2 - Carte da decifrare".
Altro personaggio italiano che amo tantissimo è ROBERTO MUROLO, ma non l'ultimo Murolo, quello ridotto a fenomeno da baraccone, invischiato in improbabili duetti e portato alla ribalta da Arbore; il quale Arbore (che, badate bene, per me resta uno dei pochi e migliori uomini di spettacolo in Italia) non solo ha snaturato il personaggio Murolo, ma ha oltretutto reso un pessimo servizio alla canzone napoletana, con tre dischi vergognosi in cui ha trasfomato completamente lo spirito di bellissime melodie, trasformandole con i più disparati ed improbabili ritmi, divertenti quanto volete ma che nulla hanno a che vedere con la vera canzone partenopea; se vi piacciono simili commistioni molto meglio allora il buon vecchio RENATO CAROSONE. Ma torniamo a Murolo ed alla vera canzone napoletana, ascoltatevi la monumentale raccolta contenuta in "Napoletana", uscita a suo tempo in 12 LP ma recentemente ristampata anche in CD. Tutte le più belle canzoni napoletane sono ordinate ed intepretate in ordine cronologico, partendo dal 1.200 fino ai giorni nostri; anche qui via tutti gli orpelli, niente sovrarrangiamenti o ridicoli gorgheggi, solo una voce ed una chitarra, e come per magia il meglio di tante bellissime melodie può liberamente venire a galla, facendoci riconciliare con un filone della nostra musica troppo spesso bistrattato, forse anche perchè di Murolo ce n'è solamente uno.
Saltando di palo in frasca, ma solo apparentemente (ricordate il brivido lungo la schiena ?), è sempre un grande piacere ascoltare uno qualsiasi dei tanti dischi incisi dal grande LEONARD COHEN, per me la perfetta sintesi tra poesia e musica. Ancor più di Dylan, che in fondo rimane pur sempre prevalentemente un musicista, Cohen può essere considerato infatti un poeta prestato al rock; per chi non ha padronanza con l'inglese consiglierei come complemento all'ascolto delle canzoni di Cohen il libro "Leonard Cohen: canzoni da una stanza", edito dall'Arcana, con tutti i suoi testi. Come dicevo tutti i suoi dischi vanno bene, si casca sempre in piedi, dal primo "Songs of L. Cohen" all'ultimo "The future", è tutto un susseguirsi di grandi albums e di canzoni indimenticabili.
Passiamo ad un personaggio che ha segnato indelebilmente la musica degli ultimi due decenni: DAVID BYRNE, uscito allo scoperto in piena era punk con i suoi TALKING HEADS ha avuto una serie di intuizioni che hanno aperto la via a tutti i maggiori filoni che ha preso la musica degli ultimi anni. Ha esordito con un disco contenente quella "Psycho killer" che è diventata subito una canzone generazionale, spostandosi poi verso quelle influenze afro e funky (con "Fear of music" e soprattutto "Remain in light") che hanno dato la dritta a tutta la musica degli anni '80. E chi è stato il primo a spingersi in territori "world", se non il nostro insieme con BRIAN ENO nel disco "My life in the bush of ghosts".
Proprio durante un concerto dei Talking Heads a Bologna, scoprii un'altro mio "amore"; nel gruppo allargato che era sul palco c'era anche un tizio alto, secco e dinoccolato che sapeva tirar fuori dalla sua chitarra dei suoni incredibili mai sentiti prima, oltretutto supportato da una tecnica mostruosa, il suo nome era ADRIAN BELEW. Nei giorni seguenti il concerto mi ripassai tutti i dischi in cui il nostro aveva lasciato tracce, nessun disco solista ma tante collaborazioni da Frank Zappa a David Bowie, poi uscirono finalmente anche dischi a suo nome; dischi alterni in cui non sempre le canzoni erano all'altezza della tecnica; le migliori cose come compositore Adrian le raggiunge forse nel disco "Lone rhino" o nei dischi con i KING CRIMSON, nei quali era entrato nel frattempo, "Beat" e "Discipline"; ma quella chitarra... quei suoni... quelle voci di elefanti, rinoceronti, coccodrilli, gabbiani che sa ricreare non hanno eguali.
Beh, potrei continuare ancora con la lista di tutti i miei "amori segreti", ma forse per adesso è meglio fermarsi, magari nei prossimi mesi ve li farò scoprire (o riscoprire) un po' alla volta.
Vorrei comunque segnalarvi, prima di chiudere, qualche dischetto ascoltabile che sono riuscito a procurarmi ultimamente nonostante i molti "chiuso per ferie"; è il caso delle ultime due "scoperte" di Arezzo Wave: la nuova uscita di BEN HARPER dal titolo "Fight for your mind" e il CD di LOKUA KANZA, entrambi chitarristi, americano il primo, africano il secondo, entrambi prevalentemente acustici con ballate scritte con il cuore in mano ed in cui confermano le buone cose viste sul palco aretino. Spingendosi in campo "world music" non male il gruppo spagnolo, ma con influenze varie (musica antica, araba, ecc.) RADIO TARIFA con "Rumba Angelina" e l'altrettanto vario e divertente "Zeydes un eyniklekh" del clarinettista JOEL RUBIN, in cui vengono riprese danze soprattutto bulgare, ma anche di altri luoghi (russe, rumene, ecc.) in un tripudio di fiati.
Ritornando verso casa vorrei segnalarvi il ritorno di un personaggio che, anche se a suo tempo non aveva creato grosso interesse aveva saputo confezionare tre ottimi dischi usciti alla fine degli anni '70: ve lo ricordate Faust'o ? Adesso si fa chiamare con il suo nome completo: FAUSTO ROSSI ed è tornato con un disco "L'erba" che forse suona un po' demodé, ma che in questo ha forse anche il suo maggior fascino.
Infine AMBROGIO SPARAGNA, che con il suo "Invito" dimostra come si può confezionare un disco di musica popolare senza cadere nel retorico, nel risentito e soprattutto nel noioso.
Al prossimo mese.
I ZIMBRA